Sono diversi anni che nei notiziari sentiamo notizie provenienti dalla Cina che ci informano dell’ascendente crisi del colosso immobiliare cinese di Evergrande.
Evergrande è annoverata tra le più importanti e produttive società cinesi dell’ultimo ventennio. Ha partecipato alla crescita economica della Cina dapprima come promotore del mercato immobiliare e successivamente con partecipazione nel mondo del calcio e delle auto elettriche. La crescita del suo fatturato è stata esponenziale in pochissimi anni ma, il tracollo di cui è stata vittima, non ha posto altra condizione se non quella di dichiarare bancarotta negli Stati Uniti nel tentativo di risanare il debito di 32 miliardi di dollari accumulato all’estero. La legge statunitense permette, attraverso il ’Chapter 15’, alle aziende straniere come Evergrande, di evitare il pignoramento dei beni a condizione di saldare i propri debiti in primis con gli Stati Uniti ed avviare quindi un risanamento dell’azienda.
Dopo l’enorme crisi occidentale che ha seguito i lockdown e le ondate di pandemia causate dal Covid-19, ci si aspettava che la Cina con la sua politica zero covid riuscisse a riprendersi in fretta dalla crisi che ciò ha portato. Invece, contro tutte le più rosee aspettative, sembra proprio che l’economia cinese stia rallentando e questo causerà non pochi problemi alle potenze occidentali che sono strettamente connesse alla Cina per ciò che riguarda gli scambi commerciali. Evergrande, infatti, ha contratto debiti con banche, privati e istituzioni pubbliche. Se la politica di risanamento non sarà efficace, si innescherà una reazione a catena che produrrà altri fallimenti.
Una ripercussione della crisi dell’economia cinese è quella della disoccupazione giovanile che, ad oggi, si attesta oltre il 21,3%. Molti giovani, a causa dell’elevata difficoltà nel trovare un lavoro, hanno deciso di rimanere a casa collaborando e prendendosi cura della casa stessa e degli altri membri della famiglia ricevendo in cambio soldi dai genitori, facendosi così chiamare ‘figli e figlie full time’. Dietro ad una scelta del genere, molte volte, si cela la volontà da parte dei più giovani di volersi ribellare al sistema lavorativo cinese fatto di molta competizione. La cultura lavorativa della terra di mezzo può essere riassunta con il numero ‘996’, una cultura per cui bisognerebbe lavorare dalle 9 di mattina alle 9 di sera per sei giorni a settimana con paghe non commisurate agli orari e all’impegno profuso. E’ bene specificare che si tratta di giovani con titoli di studio talvolta prestigiosi che non sono quindi disposti ad accettare lavori per un numero di ore così importanti a fronte di miseri stipendi.
Iniziando dalla crisi del settore immobiliare, passando per l’aumento del tasso di disoccupazione, ne consegue anche una tale situazione di stallo che fa si che le famiglie si trovino in una situazione di empasse e quindi meno propense ad investire i propri soldi. Le famiglie cinesi non acquistano e non investono. A cascata, come un domino, anche i negozianti e le aziende, non vendendo, non vedono la necessità di assumere nuovo personale, anzi, al calare della domanda probabilmente si vedono anche costretti a licenziare dei dipendenti, aggravando la già non leggera situazione. Una peculiarità è sicuramente quella per cui in questo momento nel mercato cinese i prezzi dei prodotti non aumentano, bensì diminuiscono. L’inflazione infatti è un problema che si verifica all’aumentare della richiesta dei prodotti. In questo caso in Cina non c’è neanche la richiesta e quindi i prezzi invece che aumentare, diminuiscono. Questo fenomeno è chiamato deflazione. Tra le altre ragioni, ultima ma non per importanza c’è da non sottovalutare anche il calo delle esportazioni negli ultimi anni. A quanto pare, mentre la Cina era un tempo la nazione prescelta per ciò che riguardava la manodopera a bassissimo costo, al giorno d’oggi non sembra più essere una delle prime opzioni quando si tratta di scegliere. Oltre a ciò non è di certo da sottovalutare tutta la ‘’guerrilla’’ commerciale che sta andando avanti da anni con gli Stati Uniti con annessa la politica dei dazi usa nei confronti delle importazioni cinesi che hanno portato quindi sempre meno americani ad ordinare prodotti cinesi.
Questi fattori concatenati tra loro se non risolti in breve tempo possono portare a dei seri problemi per la nazione, soprattutto per il ruolo centrale che questa svolge nei delicati equilibri globali e di scambi commerciali essendo il colosso di questo tipo di economia.